Il fallimento è una procedura concorsuale disposta dall'autorità giudiziaria e diretta a liquidare il patrimonio dell'imprenditore insolvente al fine di distribuire il ricavato tra i creditori secondo il criterio della par condicio, fatte salve le cause legittime di prelazione. Da un punto di vista operativo esso si configura come una procedura tramite la quale il "sistema azienda" viene disaggregato nelòle sue componenti elementari e liquidato a sostegno dei creditori.
Da vari punti di vista tale procedura è simile all'operazione di liquidazione volontaria e lo è ancor di più se andiamo a verificarne la finalità ovvero la determinazione del capitale di liquidazione cioè il patromonio che scaturisce dalla somma algebrica di valori non più collegati in termini funzionali, in quanto è venuta a cessare ogni attività.
La liquidazione forzata applica metodi valutativi affini a quelli indicati per la liquidazione volontaria anche se la natura concorsuale della procedura rende necessario far riferimento ad un complesso normativo (legge fallimentare) che richiede alcune differenziazioni nei principi di valutazione e di quantificazione del patrimonio aziendale.
In linea generale, i principi di valutazione dell'attivo sono quelli del presumibile valore di realizzo dei beni, ma applicato, in sede fallimentare, con criteri di particolare prudenza; per il passivo, vale il criterio dell'accertamento ordinato dei debiti e della presunta estinzione.
Per quanto riguarda le attività, il criterio di realizzo, può essere costituito dal valore di realizzazione desunto dal mercato o dal valore di sostituzione o di riproduzione; in ogni caso, al valore di realizzo deve essere applicata sia la possibiità della vendita frazionata dei beni che quella della cessione globale dell'attività o di settori funzionanti autonomi, nell'ottica del migliore realizzo dei beni stessi.
Per le passività, occorre procedere all'estinzione delle poste debitorie, in seguito al puntuale acceramento eseguito nella verifica dello stato passivo, sia in relazione alla tipologia di debiti che della categoria del creditore (ipotecario, pignoratizio, oriviolegaito, chirografario), e alla quantificazione di eventuali poste passive potenziali (non rilevate in contabilità per contenziosi in essere o eventuali). In realtà, nella prassi professionale, molto raraente vengono valutate le passività in quanto non oggetto di trasferimento (ma di semplice accertamento ai fini della formazione dello stato passivo): la valutazione è pertanto limitata alle poste attive suscettibili di trasferimento.
Un caso particolare nella procedura fallimentare è dato dal trasferimento per cessione d'azienda: in tale circostanza l'avviamento può risultare inesistente oppure presente e quindi trasferibile.
Nella prima ipotesi la cessione frazionata dell'azienda non presenta particolari problemi valutativi in quanto la disaggregazione del complesso aziendale richiede la stima dei valori in assenza di avviamento, che si ritiene azzerato in seguito alla gestione trascora dell'azienda fallita. In tale ipotesi non si quantifica un badwill, limitandosi a valorizzare le single attività cedenti.
Qualora invece sia riscontrabile un valore di avviamento positivo, è conveniente, per ottenere il migliore soddisfaciemnto dei creditori, procedere al realizzo in blocco del complesso aziendale, per il quale la curatela si attiva onde ottenere la stima del capitale economico d'azienda (la valutazione d'azienda viene solitamente effettuata da un perito specificatamente incaricato che va a redigere un rapporto tecnicamente chiamato Perizia di Stima.
Spesso l'avviamento in tale circostanza, viene valutato emipicamente in base agli elementi oggettivi, che in sede fallimentare sono spesso carenti: si pensi all'importanza del volume d'affari, che rappresenta uno dei pochi dati certi, sul quale fondare considerazioni di valore. Il voume d'affari appare infatti come un dato non inficiato dalla negativa gestione (e può dare indicazioni tendenziali di quello che potrebbe essere l'utile dell'azienda se fosse getita in modo tale da assicurare condizioni di normalità di funzionamento e di positività dei risultati).
In tale contesto sono comunque applicabili anche i metodi tradizionali di valutazione d'azienda, in particolare i metodi patrimoniali e misti (agevolati dalla presenza di un inventario fallimentare, predistosto dal curatore e garantito dalla posa dei sigilli sui beni e nella sede dell'impresa). Più difficilmente applicabili sono i metodi reddituali e finanziari per la negativià dei dati storici e per l'aleatorietà delle previsioni per il futuro, necesitando le aziende fallite di profondi processi di ristrutturazione.
E' pertanto importante sottolineare che prima di giungere alla stima del valore d'azienda, il perito quantifica, le spese di ristrutturazione e rilancio aziendale e le detrae dal valore totale.
La normativa fallimentare disciplina la cessione del complesso aziendale (anche se temporaneamente non funzionante) all'art. 105 L.F., lasciando trapelare la propria preferenza per il realizzo in blocco dell'azienda o dei suoi rami, perché l'operazione che, nell'ottica del migliore soddisfacimneto dei creditori, rappresenta un adelle soluzioni più auspicabili della crisi d'impresa.
Qualora l'impresa venga dichiarata fallita, l'unità aziendale può essere mantenuta solo adottando forme idonee ad evitare il dissolvimento del collegamanto funzionale che la caratterizza: la finalità è quella di conservare l'integrità del complesso aziendale, soprattutto come unità produttiva.
L'azienda non si estingue con la dichiarazione di fallimento, potendo il sistema giuridico (non solo fallimentare) reagire alla disgregazione attraverso formule che rendono possibili soluzioni temporanee, quali l'affitto d'azienda o di un suo ramo, anche durante la procedura (art. 104-bis L.F.), oppure l'esercizio provvisorio (art. 104 L.F.), al fine di matenere saldo il vincolo di destinazione produttiva del complesso aziendale. Con la sentenza dichiarativa di fallimento infatti, il tribunale può disporre l' "esercizio provvisorio" (continuazione dell'esercizio dell'impresa) su proposta del curatore, sentito il Giudice Delegato e il comitato dei creditori (o autonomamente, se è disposto contestualmente alla dichiarazione di fallimento), anche tramite affitto d'azienda o di un ramo di essa. L'affittuario avrà diritto di prelazione in caso di vendita dell'impresa nel rilevarla.
Entro 60 giorni dalla redazione dell'inventario, il curatore predispone il programma di liquidazione. Viene presentato ai creditori e al G.D. (Giudice Delegato). Dopo l'approvazione, si procede alla vendita dei beni, dell'azienda o per rami d'azienda, cessione dei crediti anche di natura fiscale secondo metodologie competitive (come l'asta pubblica). Il G.D. può sospendere la vendita se ricorrono gravi e giustificati motivi, su istanza del fallito o del comitato dei creditori, o in caso di offerta migliorativa.
Il progetto di riparto dell'attivo è predisposto dal curatore e diviene esecutivo se, una volta trascorsi i 15 giorni, i creditori non propongono reclamo. Altrimenti il programma diviene esecutivo previo accantonamento delle somme contestate sulle quali decide il tribunale. Nella ripartizione i crediti assistiti da garanzia reale prevalgono sui crediti prededucibili; questi prevalgono sui crediti privilegiati (pegno, ipoteca) e per ultimi si hanno i creditori chirografari, soggetti a par condicio creditorum (in pratica, saranno soddisfatti in egual misura sulla percentuale del credito ad essi dovuto).
La norma fallimentare sulla liquidazione dell'attivo è codificata dall'art. 107 L.F., che disciplina la modalità delle vendite: nonostante il rapporto di complementarietà che lega i beni aziendali sia di natura più intensa rispetto alla semplice sommatoria dei beni da tresferire in blocco, tra le forma di vendita ammesse, ispirate comunque a criteri di competitività, si rendono reperibili oltre all'incanto, le offerte private, come ipotesi tipiche delle vendite fallimentari, dei complessi aziendali, il cui atto definitivo resta pur sempre un provvedimento di natura giudiziaria.
Da vari punti di vista tale procedura è simile all'operazione di liquidazione volontaria e lo è ancor di più se andiamo a verificarne la finalità ovvero la determinazione del capitale di liquidazione cioè il patromonio che scaturisce dalla somma algebrica di valori non più collegati in termini funzionali, in quanto è venuta a cessare ogni attività.
La liquidazione forzata applica metodi valutativi affini a quelli indicati per la liquidazione volontaria anche se la natura concorsuale della procedura rende necessario far riferimento ad un complesso normativo (legge fallimentare) che richiede alcune differenziazioni nei principi di valutazione e di quantificazione del patrimonio aziendale.
In linea generale, i principi di valutazione dell'attivo sono quelli del presumibile valore di realizzo dei beni, ma applicato, in sede fallimentare, con criteri di particolare prudenza; per il passivo, vale il criterio dell'accertamento ordinato dei debiti e della presunta estinzione.
Per quanto riguarda le attività, il criterio di realizzo, può essere costituito dal valore di realizzazione desunto dal mercato o dal valore di sostituzione o di riproduzione; in ogni caso, al valore di realizzo deve essere applicata sia la possibiità della vendita frazionata dei beni che quella della cessione globale dell'attività o di settori funzionanti autonomi, nell'ottica del migliore realizzo dei beni stessi.
Per le passività, occorre procedere all'estinzione delle poste debitorie, in seguito al puntuale acceramento eseguito nella verifica dello stato passivo, sia in relazione alla tipologia di debiti che della categoria del creditore (ipotecario, pignoratizio, oriviolegaito, chirografario), e alla quantificazione di eventuali poste passive potenziali (non rilevate in contabilità per contenziosi in essere o eventuali). In realtà, nella prassi professionale, molto raraente vengono valutate le passività in quanto non oggetto di trasferimento (ma di semplice accertamento ai fini della formazione dello stato passivo): la valutazione è pertanto limitata alle poste attive suscettibili di trasferimento.
Un caso particolare nella procedura fallimentare è dato dal trasferimento per cessione d'azienda: in tale circostanza l'avviamento può risultare inesistente oppure presente e quindi trasferibile.
Nella prima ipotesi la cessione frazionata dell'azienda non presenta particolari problemi valutativi in quanto la disaggregazione del complesso aziendale richiede la stima dei valori in assenza di avviamento, che si ritiene azzerato in seguito alla gestione trascora dell'azienda fallita. In tale ipotesi non si quantifica un badwill, limitandosi a valorizzare le single attività cedenti.
Qualora invece sia riscontrabile un valore di avviamento positivo, è conveniente, per ottenere il migliore soddisfaciemnto dei creditori, procedere al realizzo in blocco del complesso aziendale, per il quale la curatela si attiva onde ottenere la stima del capitale economico d'azienda (la valutazione d'azienda viene solitamente effettuata da un perito specificatamente incaricato che va a redigere un rapporto tecnicamente chiamato Perizia di Stima.
Spesso l'avviamento in tale circostanza, viene valutato emipicamente in base agli elementi oggettivi, che in sede fallimentare sono spesso carenti: si pensi all'importanza del volume d'affari, che rappresenta uno dei pochi dati certi, sul quale fondare considerazioni di valore. Il voume d'affari appare infatti come un dato non inficiato dalla negativa gestione (e può dare indicazioni tendenziali di quello che potrebbe essere l'utile dell'azienda se fosse getita in modo tale da assicurare condizioni di normalità di funzionamento e di positività dei risultati).
In tale contesto sono comunque applicabili anche i metodi tradizionali di valutazione d'azienda, in particolare i metodi patrimoniali e misti (agevolati dalla presenza di un inventario fallimentare, predistosto dal curatore e garantito dalla posa dei sigilli sui beni e nella sede dell'impresa). Più difficilmente applicabili sono i metodi reddituali e finanziari per la negativià dei dati storici e per l'aleatorietà delle previsioni per il futuro, necesitando le aziende fallite di profondi processi di ristrutturazione.
E' pertanto importante sottolineare che prima di giungere alla stima del valore d'azienda, il perito quantifica, le spese di ristrutturazione e rilancio aziendale e le detrae dal valore totale.
La normativa fallimentare disciplina la cessione del complesso aziendale (anche se temporaneamente non funzionante) all'art. 105 L.F., lasciando trapelare la propria preferenza per il realizzo in blocco dell'azienda o dei suoi rami, perché l'operazione che, nell'ottica del migliore soddisfacimneto dei creditori, rappresenta un adelle soluzioni più auspicabili della crisi d'impresa.
Qualora l'impresa venga dichiarata fallita, l'unità aziendale può essere mantenuta solo adottando forme idonee ad evitare il dissolvimento del collegamanto funzionale che la caratterizza: la finalità è quella di conservare l'integrità del complesso aziendale, soprattutto come unità produttiva.
L'azienda non si estingue con la dichiarazione di fallimento, potendo il sistema giuridico (non solo fallimentare) reagire alla disgregazione attraverso formule che rendono possibili soluzioni temporanee, quali l'affitto d'azienda o di un suo ramo, anche durante la procedura (art. 104-bis L.F.), oppure l'esercizio provvisorio (art. 104 L.F.), al fine di matenere saldo il vincolo di destinazione produttiva del complesso aziendale. Con la sentenza dichiarativa di fallimento infatti, il tribunale può disporre l' "esercizio provvisorio" (continuazione dell'esercizio dell'impresa) su proposta del curatore, sentito il Giudice Delegato e il comitato dei creditori (o autonomamente, se è disposto contestualmente alla dichiarazione di fallimento), anche tramite affitto d'azienda o di un ramo di essa. L'affittuario avrà diritto di prelazione in caso di vendita dell'impresa nel rilevarla.
Entro 60 giorni dalla redazione dell'inventario, il curatore predispone il programma di liquidazione. Viene presentato ai creditori e al G.D. (Giudice Delegato). Dopo l'approvazione, si procede alla vendita dei beni, dell'azienda o per rami d'azienda, cessione dei crediti anche di natura fiscale secondo metodologie competitive (come l'asta pubblica). Il G.D. può sospendere la vendita se ricorrono gravi e giustificati motivi, su istanza del fallito o del comitato dei creditori, o in caso di offerta migliorativa.
Il progetto di riparto dell'attivo è predisposto dal curatore e diviene esecutivo se, una volta trascorsi i 15 giorni, i creditori non propongono reclamo. Altrimenti il programma diviene esecutivo previo accantonamento delle somme contestate sulle quali decide il tribunale. Nella ripartizione i crediti assistiti da garanzia reale prevalgono sui crediti prededucibili; questi prevalgono sui crediti privilegiati (pegno, ipoteca) e per ultimi si hanno i creditori chirografari, soggetti a par condicio creditorum (in pratica, saranno soddisfatti in egual misura sulla percentuale del credito ad essi dovuto).
La norma fallimentare sulla liquidazione dell'attivo è codificata dall'art. 107 L.F., che disciplina la modalità delle vendite: nonostante il rapporto di complementarietà che lega i beni aziendali sia di natura più intensa rispetto alla semplice sommatoria dei beni da tresferire in blocco, tra le forma di vendita ammesse, ispirate comunque a criteri di competitività, si rendono reperibili oltre all'incanto, le offerte private, come ipotesi tipiche delle vendite fallimentari, dei complessi aziendali, il cui atto definitivo resta pur sempre un provvedimento di natura giudiziaria.
Nessun commento:
Posta un commento